Le 25 migliori squadre di sempre

Nei suoi 77 anni di vita la NBA ha visto succedersi tante grandissime squadre che hanno lottato con tutte le loro forze per sollevare l’ambito Larry O’Brian trophy. Solo in poche ci sono riuscite, e spesso moltissime squadre meritevoli sono rimaste a secco. Ma quale tra queste è veramente la squadra più forte che abbia mai calpestato un parquet NBA? Abbiamo provato a stilare una classifica delle 25 migliori squadre della storia della National Basketball Association.

Premessa: come paragonare squadre e giocatori che appartengono a periodi storici diversi? La nostra scelta è sempre quella di mettere gli oggetti dell’analisi in relazione al loro contesto storico, e di conseguenza capire quale squadra ha dominato di più la propria epoca di riferimento.

Criteri: Ci siamo posti dei criteri senza schemi mentali precedenti parziali o faziosi, e solo in seguito alla scelta dei criteri le squadre sono state analizzate e successivamente classificate, di conseguenza le posizioni non erano già decise a priori ma si sono definite in itinere approfondendo e rispettando le premesse. Abbiamo valutato:

  • Sistema di gioco
  • Competizione affrontata
  • Successo ai Playoffs
  • Superstar e supporting cast
  • Coaching staff
  • Gravità dei punti deboli
  • Cosa l’ha resa speciale?
  • Simple Rating System (SRS)
  • Net Rating
  • Relative Offensive / Defensive Rating (Rortg/Rdrtg)
  • Modernità in relazione ad i tempi
N.B. Si è deciso di selezionare una sola versione per le squadre che consideriamo simili, quella reputata la migliore. La scelta è motivata nella relativa discussione.

Menzioni onorevoli:

Brooklyn Nets 2020-21

Purtroppo questa non può essere nulla più che una menzione onorevole. Dopo la trade che ha portato James Harden ai Brooklyn Nets, la squadra ha riportato un record di 8 vittorie in 10 gare di stagione regolare, quando i tre tenori Kevin Durant, Kyrie Irving e lo stesso Barba erano in campo insieme, con un net rating di +7.2 (122.9 di offensive rating,  potenzialmente il migliore di sempre), uno scarto medio di 7.2 punti a partita ed un Srs di 7.1, che se proiettato per 82 partite equivale ad un ritmo da 61 vittorie. Non possiamo dire molto altro, se non che Kyrie Irving e Kevin Durant sono entrambi giocatori capaci di muoversi senza palla, ed Harden da direttore d’orchestra fino al suo infortunio in gara 1 contro i Bucks ha fatto faville. Nella prima serie contro i Celtics, vinta per 4-1, i Nets hanno segnato mediamente 123.4 punti (uno spaventoso offensive rating di 130.4), tirando con il 63.8% di percentuale reale di tiro. Il solo Harden quando in campo ha prodotto un offensive rating di 153 punti per 100 possessi, numeri da rileggere più volte per reputare veritieri. Dopo aver vinto con 11.8 punti di scarto medio per 100 possessi contro i Celtics, i Nets anche senza James Harden sembravano sul punto di buttare fuori dai playoffs comodamente anche i Milwaukee Bucks. L’infortunio di Kyrie Irving ha però definitivamente chiuso la storia di uno dei più grandi what if di sempre, consegnando però ai posteri una run firmata Kevin Durant davvero da ricordare.

San Antonio Spurs 2015-16

I San Antonio Spurs del 2016 sono stati autori di una delle più incredibili stagioni regolari di sempre, oscurata dalla contemporanea dei Golden State Warriors, conclusasi con 73 vittorie e 9 sconfitte. Andando nel dettaglio però la stagione di San Antonio, non fu peggiore. Un calendario più facile (via Basketball Reference) ha portato i Warriors a raccogliere forse più del seminato. Infatti gli Spurs terminarono la stagione al primo posto per net rating (+11.3), Pythagorean Wins (67), rdrtg (-7.1) ed SRS (10.28, un ritmo da 67 vittorie appunto). I Playoffs non iniziarono diversamente. San Antonio dominò Dallas e distrusse gli OKC Thunder di Westbrook e Durant in gara 1, salvo poi squagliarsi come neve al sole nel resto della serie. Il nuovo acquisto Lamarcus Aldridge, sebbene autore di una prova autorevole offensivamente, in difesa fu semi-disastroso, Tim Duncan fu eroico in gara 6, ma l’età si faceva sentire a livello di mobilità laterale, ed i super atletici Thunder ne approfittarono, limitando anche offensivamente Kawhi Leonard. La sensazione è che gli Spurs siano arrivati totalmente a secco, ma il fatto che l’anno dopo, con una stagione regolare decisamente inferiore, ed alcuni pezzi storici persi per strada, fossero vicini a strappare gara 1 gli invincibili Warriors prima dell’infortunio di Kawhi, fa pensare che quella squadra avesse ancora del potenziale da esprimere.

25. Milwaukee Bucks 2020-21

I Milwaukee Bucks erano stati autori di una regular season monstre nel 2020, con una difesa storicamente forte (-7.7 Rdrtg), collimata da un Giannis Antetokounmpo premiato come Difensore dell’anno, ed un ritmo per raggiungere le 66 vittorie (9.41 SRS) se il Covid non avesse interrotto la stagione. Nei playoffs, però, la difesa non ha retto come in stagione regolare ed in attacco sono emersi problemi strutturali che causava il cosiddetto “point Giannis”, croce e delizia dei Bucks di quell’anno e di coach Budenholzer. In più la mancata pericolosità da 3 di Eric Bledsoe impediva di capitalizzare i raddoppi su Giannis. Questo ha portato la muraglia dei Miami Heat ad imporsi in 5 gare. I Bucks sono tornati l’anno successivo, decisamente con meno certezze a livello di stagione regolare, anch’essa anomala a dir poco. Ma in chiave Playoffs l’acquisto di Jrue Holiday avrebbe cambiato le carte in tavola, facilitando un decisivo cambio di utilizzo di Giannis Antetokounmpo dal ruolo di portatore ad un gioco più senza palla. Dopo questa svolta, avvenuta nel bel mezzo della serie contro i Nets, la strada per il titolo NBA era tracciata. I Bucks vinsero in 6 contro Atlanta e contro Phoenix ribaltando la serie sotto 2-0. Non ci sentiamo di salire oltre la 25^ posizione, forse se questo cambio tattico fosse avvenuto un po’ prima nella stagione avrebbe scalato la nostra classifica.

24. New York Knicks 1969-70

Gli storici Knicks del 1970, che vinsero contro i Lakers di Chamberlain, Baylor e West con il leggendario Willis Reed che gioca sul dolore… Chi non conosce questa storia? Una storia da underdog, decisamente… beh non proprio. I Knicks nel 1970 in realtà si candidarono da subito come una delle principali contenders per il titolo NBA. Dopo aver chiuso una stagione con 60 vittorie (e con un ritmo da 63, 8.42 di SRS), la miglior difesa della NBA (-6.6 rdrtg), ed un margine di scarto medio sugli avversari di 9 punti, i ragazzi allenati da coach Red Holzmann vinsero 4-3 contro i Washington Bullets di Earl Monroe (loro futuro acquisto), Gus Johnson e Wes Unseld. Dopodichè fecero fuori in 5 gare i Bucks di un giovane Lew Alcindor (non ancora Kareem Abdul-Jabbar), e vinsero la storica serie in 7 gare contro dei Lakers in realtà non ancora perfetti, nonostante il roster, (SPOILER) ma di questo avremo modo di parlare più avanti nell’articolo. I Knicks vinsero, sì, ma con ampio margine su tutti gli avversari incontrati, totalizzando un net rating di +7.9 nei Playoffs. Primi in stagione regolare e nettamente più performanti di tutti ai Playoffs, siamo ancora convinti di parlare di underdogs? La versione dei Knicks 1970 è stata preferita a quella del 1973, poiché nonostante la (questa volta si) impresa riuscita in 7 gare contro i Celtics da 68 vittorie e l’acquisto di Monroe, il capitano Willis Reed non era più un giocatore di livello MVP come nel 1970, ma “solo” un buon tiratore e difensore di rotazione.

23. San Antonio Spurs 1998-99

Il primo titolo dopo la fine dell’era Jordan se lo aggiudicarono i San Antonio Spurs, che nel 1999 grazie alle torri gemelle Tim Duncan e David Robinson, chiusero il pitturato agli attacchi avversari come pochissimi erano riusciti a fare prima di loro. Gli Spurs, con la miglior difesa della lega per distacco (-7.7 rdrtg), vinsero 37 gare su 50 (lockout), che parametrate per 82 gare equivalgono ad un ritmo di 61 vittorie (7.12 SRS), con un net rating di +9.0.  Gli Spurs passeggiarono per tutti i Playoffs, perdendo solo 2 gare su 17 e vincendo il titolo NBA con uno scarto medio sui loro avversari dei Playoffs di 8.5 punti per 100 possessi. Numeri notevolissimi, sicuramente per merito di San Antonio, ma anche perché la competizione affrontata non è stata poi questo gran che, a cominciare dai Knicks in Finale NBA, unica squadra insieme ai Miami Heat nel 2023 a raggiungere la serie finale da ottava testa di serie. Questo ci impedisce di far salire dei pur dominanti Spurs oltre questo posto in classifica (SPOILER, i Nuggets non sono presenti in questa classifica per il medesimo motivo).

22. Sacramento Kings 2001-02

I Sacramento Kings del 2002 sono una delle squadre più profonde che la storia recente ricordi. Una squadra, quella guidata da coach Rick Adelman, che insieme ai Dallas Mavericks di Don Nelson, tentava di portare alla ribalta un gioco totalmente anti-Shaq, di grande modernità, ritmo e giro palla, in forte opposizione al triangolo di Phil Jackson che in quegli anni ha riscosso innumerevoli successi, magari a discapito dell’estetica. Dopo una stagione da 61 vittorie, un SRS di 7.62 (ritmo per 62 vittorie) ed un net rating di +7.9 (primi in NBA), i Kings chiusero la regular season al primo posto ed in finale di conference si scontrarono contro la seconda classificata, proprio i Lakers. Pieni zeppi di tiratori e difensori POA, con Chris Webber a guidarli come point-center grazie al suo pacchetto offensivo praticamente totale, i Kings sono stati l’avversario più duro affrontato dai Lakers del three peat, e proprio grazie alle loro spaziature, hanno messo a dura prova la difesa Losangelina, che non poteva più accomodarsi su uno Shaq protetto in posizione di roaming, ma costretto a dover seguire sia Webber che Divac fuori dal pitturato poiché lasciare loro un tiro comodo non sarebbe stato il massimo per gare a così basso punteggio. Ironico che a costare loro la serie sia stato proprio un tiro dall’angolo totalmente smarcato del loro miglior tiratore, Peja Stojakovic, che chiuse gara 7 con un airball. I Kings bussarono prepotentemente alle porte del titolo anche l’anno successivo, ma privi di Webber, out per infortunio, capitolarono contro i Dallas Mavericks in 7 gare in una delle più belle serie del tempo (caldo invito a recuperarla a chi non l’avesse vista).

21. Toronto Raptors 2018-19

I Raptors hanno vinto il loro primo storico titolo NBA nel 2019, ma l’idea di impresa che si dà a questo successo è forse eccessiva, dato che Toronto si è dimostrata essere una squadra veramente molto forte. Paradossalmente si può dire che una squadra così forte non abbia brillato in modo eccessivo nonostante il risultato massimo ottenuto. 58 vittorie e secondo posto nella eastern conference, 5.49 di SRS (ritmo da 57 vittorie, inferiore a quello dell’anno successivo senza Kawhi), attacco e difesa entrambi tra i primi 5 della lega, ma nessuno dei due davvero clamoroso (come invece sarà la difesa dell’anno successivo, nonostante la perdita di Kawhi Leonard). Ai Playoffs un rispettabilissimo net rating di +5.6 ed un Drtg calato dal 107.1 della stagione regolare a 104.4 rendono Toronto decisamente più impattante a livello statistico, ma lo sblocco definitivo è arrivato nel quarto quarto di gara 3 contro i Milwaukee Bucks, quando erano sul punto di finire sotto per 3-0 ed invece sono riusciti a ribaltare partita e serie, grazie ad un brillante aggiustamento difensivo di Nick Nurse, per poi concludere una marcia trionfale contro i decimati Golden State Warriors. Certo, che Toronto abbia fatto così bene l’anno successivo, migliorandosi in tutto e per tutto in stagione regolare, e perdendo ai Playoffs solo in gara 7 del secondo turno, dopo aver perso uno dei 3 migliori giocatori della lega, fa pensare che sarebbero potuti essere non solo vittoriosi, ma addirittura dominanti. Questo però, non è avvenuto, perciò non possiamo farli salire oltre questa posizione.

20. Los Angeles Lakers 2008-09

Pochi mesi dopo l’arrivo di Pau Gasol, Los Angeles, sponda Lakers, è tornata tra le big della lega. Già nel 2005 si era probatori a sostituire Shaquille O’Neal con Lamar Odom, ma il fallimento fu dovuto ad una non grande capacità di coach Rudy Tomjanovic di far sposare le qualità con la palla di Odom e quelle senza palla di Kobe Bryant. Qualità perfettamente complementari, come dimostrò Phil Jackson nel suo ritorno sulla panchina dei Lakers, e che con Pau Gasol erano ulteriormente implementate, grazie alla grande intesa di questo con Bryant ed alle sue capacità di passatore dal post alto. 65 vittorie in stagione regolare, 7.11 di SRS, +8.1 di net rating (terzi dopo Celtics e Cavs) e primo posto ad Ovest. Dopodiché una grande run da Playoffs, in cui i Lakers hanno battuto gli avversari senza diminuire la marcia inserita in stagione regolare. Battuti gli Utah Jazz in 5 gare, i Rockets in 7 (dominando gara 7 con facilità), i Nuggets in 6 ed in finale gli Orlando Magic in 5. Una competizione non clamorosa, ma battuta senza troppissime difficoltà, con uno scarto medio di 7.9 punti per 100 possessi. I Lakers hanno fatto quello che c’era da aspettarsi, nulla di più nulla di meno. Qui abbiamo probabilmente visto la miglior versione della carriera di Kobe Bryant.

19. Detroit Pistons 2003-04

Nonostante le 5 finali di conference consecutive, sui Detroit Pistons del 2004 andrebbe fatto il discorso opposto a quello precedente sui Lakers. Non dovevano vincere, invece non hanno solo vinto, hanno massacrato in finale NBA i Lakers di Shaq, Kobe, Malone e Payton e poi hanno ripetuto con continuità il loro successo nel corso degli anni. L’acquisizione di Rasheed Wallace a metà stagione è stata la ciliegina sulla torta a completare il sistema difensivo di coach Larry Brown. Nonostante un record non eccezionale (54-28), i Pistons fecero registrare una difesa statisticamente mostruosa (-7.5 di relative Drtg, secondi solo a degli insensati Spurs a -8.8),e questo trend migliorò ulteriormente in postseason, concedendo agli avversari da 95.4 a soli 92 punti per 100 possessi. Chauncey Billups ai Pistons si dimostrò un ottimo giocatore e leader, guidando come play un attacco al quale si aggiungeva la potenza di fuoco di Rip Hamilton, miglior giocatore della lega nel muoversi senza il pallone. La difesa? Tayshaun Prince, Ala 2way dalle braccia lunghissime, dalla mobilità laterale notevole e dai grandi istinti; Ben Wallace, ancora del sistema di Brown ed autore di una delle più autorevoli run difensive di tutti i tempi, quella del 2004 appunto, e per finire Sheed, che offriva supporto a Big Ben nel proteggere il pitturato, con i suoi istinti sovrannaturali, le sue mani rapide ed i suoi tempi di aiuto. Si, i Pistons si sono dimostrati veramente forti, più di quanto non sembrassero. Lo testimoniano le 64 vittorie in stagione regolare nel 2006 arrivate sotto coach Flip Saunders, che però aveva montato un grande sistema offensivo in una squadra costruita per difendere, ed ai Playoffs più di qualche amnesia fu chiara ed evidente contro Miami. Se solo il sistema difensivo di Larry Brown fosse stato combinato con l’attacco di Saunders, e specie Rip Hamilton, perno dei secondi Pistons, avesse cominciato un po’ prima ad allargare il campo facendo un passo indietro dai long 2 ai tiri da 3 punti, questa squadra sarebbe davvero stata una delle più forti di sempre, ma la cocciutaggine vecchio stampo di Larry Brown ci ha parzialmente proibito di vedere dei Pistons anche belli oltre che solidi.Nonostante le 5 finali di conference consecutive, sui Detroit Pistons del 2004 andrebbe fatto il discorso opposto a quello precedente sui Lakers. Non dovevano vincere, invece non hanno solo vinto, hanno massacrato in finale NBA i Lakers di Shaq, Kobe, Malone e Payton e poi hanno ripetuto con continuità il loro successo nel corso degli anni. L’acquisizione di Rasheed Wallace a metà stagione è stata la ciliegina sulla torta a completare il sistema difensivo di coach Larry Brown. Nonostante un record non eccezionale (54-28), i Pistons fecero registrare una difesa statisticamente mostruosa (-7.5 di relative Drtg, secondi solo a degli insensati Spurs a -8.8),e questo trend migliorò ulteriormente in postseason, concedendo agli avversari da 95.4 a soli 92 punti per 100 possessi. Chauncey Billups ai Pistons si dimostrò un ottimo giocatore e leader, guidando come play un attacco al quale si aggiungeva la potenza di fuoco di Rip Hamilton, miglior giocatore della lega nel muoversi senza il pallone. La difesa? Tayshaun Prince, Ala 2way dalle braccia lunghissime, dalla mobilità laterale notevole e dai grandi istinti; Ben Wallace, ancora del sistema di Brown ed autore di una delle più autorevoli run difensive di tutti i tempi, quella del 2004 appunto, e per finire Sheed, che offriva supporto a Big Ben nel proteggere il pitturato, con i suoi istinti sovrannaturali, le sue mani rapide ed i suoi tempi di aiuto. Si, i Pistons si sono dimostrati veramente forti, più di quanto non sembrassero. Lo testimoniano le 64 vittorie in stagione regolare nel 2006 arrivate sotto coach Flip Saunders, che però aveva montato un grande sistema offensivo in una squadra costruita per difendere, ed ai Playoffs più di qualche amnesia fu chiara ed evidente contro Miami. Se solo il sistema difensivo di Larry Brown fosse stato combinato con l’attacco di Saunders, e specie Rip Hamilton, perno dei secondi Pistons, avesse cominciato un po’ prima ad allargare il campo facendo un passo indietro dai long 2 ai tiri da 3 punti, questa squadra sarebbe davvero stata una delle più forti di sempre, ma la cocciutaggine vecchio stampo di Larry Brown ci ha parzialmente proibito di vedere dei Pistons anche belli oltre che solidi. Ma d’altronde si sa, conta vincere, e Brown sapeva vincere così.

18. Los Angeles Lakers 2019-20

Chi non ricorda la stagione infinita, bloccata a causa del COVID e poi ripresa nella bolla di Orlando di Disneyland? E come tutti i finali dei migliori romanzi a sollevare il titolo furono i Los Angeles Lakers, l’anno della morte di Kobe Bryant. Quei Lakers, guidati da LeBron James che per tutta la stagione regolare aveva diffuso l’#revengeseason su ogni sua piattaforma social, erano una squadra prettamente difensiva, che guidata da coach Vogel giocava con il doppio lungo, permettendo ad Anthony Davis di cambiare anche lontano da canestro ed essere semplicemente devastante sia sull’uomo che in aiuto. I Lakers fecero registrare il miglior record ad Ovest, 52-19, che parametrato per 82 gare risulta essere un ritmo da 59 vittorie (6.28 di SRS). Con un Net Rating di +5.7 e la terza difesa della lega dopo Raptors e Bucks (-4.3 rdrtg), i Lakers aumentarono il loro livello ai Playoffs, grazie ad un Lebron fisicamente riposato dopo la pausa, che riuscì a spazzare via i Nuggets ed i Blazers in 5 gare ed a un Davis che con la sua versatilità difensiva distrusse tutti i sistemi offensivi più gerarchizzati, come quello di Houston e Miami. Con un offensive rating fortemente migliorato (115.9) appunto dalla condizione fisica di Lebron, e da quella psicologica di tiratori che potevano segnare in una palestra senza pubblico, i Lakers ebbero il miglior attacco dei Playoffs ed un Net Rating di +7.0. Una squadra decisamente molto forte, ma che non scala ulteriori posizioni per la scarsa competizione affrontata, dato che i Bucks e specialmente i Clippers, unici capaci di ostacolare LA, furono eliminati precedentemente, coi secondi responsabili di un suicidio tecnico contro Denver guidati da un pessimo Leonard ed un disastroso George che da allora si sobbarcò il soprannome di Pandemic P.

17. Detroit Pistons 1988-89

I Pistons del 1989 si iscrissero di diritto tra le grandi dinastie degli anni ’80. Dopo la cessione di Adrian Dantley, il miglior scorer della squadra, ma che bloccava ogni tipo di meccanismo offensivo, in favore di Mark Aguirre, Detroit prese il volo. Con un record di 63-19, (addirittura 32-6 dopo la trade deadline) i ragazzi di Chuck Daly chiusero al primo posto ad Est e sembravano una macchina inarrestabile nonostante il sesto calendario più difficile della NBA (Via Basketball Reference). Ai Playoffs se possibile migliorarono ancora il loro operato, vincendo 15 gare sulle 17 disputate ed eliminando ad uno ad uno tutti i rivali storici: i Celtics di Bird per 3-0, i Bucks di Moncrief per 4-0, i Bulls di Jordan per 4-2, ed i campioni in carica, i Lakers dello Showtime per 4-0. Isiah Thomas fu premiato Mvp delle Finals ed i Pistons chiusero i Playoffs con un Net Rating di +8.7. Forse questa squadra sarebbe potuta salire ancora un pochino in questa speciale classifica, specie dopo la trade Dantley-Aguirre, ma l’aver affrontato si grandi dinastie, ma tutte al crepuscolo della loro storia, invecchiato e non può del livello di 4-5 anni prima, così come l’essere privi di una superstar del calibro dei più grandi (poiché lo stesso Thomas nonostante i Playoffs non era il giocatore di 4-5 anni prima), la lascia un pelino indietro. In

16. Minneapolis Lakers 1949-50

George Mikan è stata la prima superstar del basket professionistico, arrivato in NBA dopo la fusione tra BAA e NBL. Centro da post basso dei Minneapolis Lakers, era il più grosso e fore giocatore che ai tempi il basket avesse mai visto. Una volta presa posizione il suo gancio destro dal post era l’arma più letale e inarrestabile della lega. Guidati da Mikan, Jim Pollard, il giocatore più completo dell’epoca, Vern Mikkelsen, e l’aggressivo Slater Martin a dettare i tempi della difesa, i Minneapolis Lakers vinsero cinque titoli nei loro primi sei anni di esistenza. Abbiamo scelto tra queste cinque versioni, la seconda in ordine cronologico: i campioni del 1949-50. Con un SRS di 8.25 (ritmo da 63 vittorie), un record di 51-17 (30-1 in casa!) ed un margine medio di vittoria di 8.34 punti, i ragazzi allenati da coach John Kudla chiusero col miglior record della stagione regolare a pari merito coi Cincinnati Royals, ai quali strapparono la vetta della Division battendoli al tiebreak. Dopo essere arrivati alle Finals imbattuti, i Lakers ebbero vita dura contro i Siracuse Nationals, che riuscirono a battere in gara 1 con un buzzer beater da 12 metri. I Lakers non abbandonarono più il comando della serie, ed i Nationals capitolarono in 6 gare. Purtroppo, i dati ed i filmati relativi a quegli anni sono molto scarsi e rendono un po’ anomala questa posizione di classifica, ma sembra corretto inserire i Minneapolis Lakers per rendere onore fino in fondo ad ogni epoca della storia della National Basketball Association, e secondo i criteri sovraespressi, poche squadre hanno dominato il loro periodo storico come loro.

15. Boston Celtics 1961-62

I Celtics di Russell hanno dominato la NBA dal primo all’ultimo anno di carriera del loro leader, vincendo undici titoli in tredici anni dei quali otto consecutivamente. Tra il 1961 ed il 1965 hanno fatto registrare un dato difensivo outlier tra gli outliers, -9.1 di relative drtg nella span di 3 stagioni (mai nessun altro ha toccato il -9 neanche in una singola annata), con un picco di -10.4 nel 1964. Lo stesso Russell, senza avere la più pallida idea che in futuro sarebbero esistiti questi numeri ha dichiarato che la stagione 1964 per lui era la più grande stagione difensiva di tutti i tempi, ma non è la versione che abbiamo deciso di scegliere, poiché al contempo era anche il peggior attacco dell’intera lega. La scelta è ricaduta sull’annata 1961-62, poiché, lungi dall’assenza di John Havlicek, non ancora entrato nella lega, i Celtics di Bill hanno disputato anche la loro miglior stagione offensiva. Sia chiaro, anche qui sono stati tutt’altro che eccellenti, ma il loro ritmo era elevatissimo, grazie al famoso Celtics fastbreak, che partiva da una stoppata di Russell e si chiudeva con un rapido canestro in contropiede viaggiando a velocità altissime in campo aperto, reso superiore a quello di fine decennio dalla presenza di Bob Cousy, che permetteva di gestire i possessi in velocità da primo grande play della lega quale era, coinvolgendo anche Bill nella sua metà campo, date le sue inumane doti di corridore ed atleta. I Celtics vinsero 60 partite, ma viaggiando ad un ritmo di 63 (8.25 SRS), aumentando dell’8.1% gli assist rispetto all’anno precedente e chiudendo la stagione con un Net Rating di +7.0. Ai Playoffs ebbero tutt’altro che vita facile, sfidando i Philadelphia Warriors del Wilt Chamberlain da 50 di media ed i Lakers non ancora West-centrici, ma forse con il miglior Elgin Baylor di sempre. I Warriors portarono Boston a gara 7, ma Wilt, che negli incontri stagionali con Bill aveva già abbassato la sua media da 50 punti a 37, in questa serie venne ulteriormente limitato da un monumentale Russell a poco più di 33. Vinti in 7 gare anche i Lakers, Boston conquistò il suo quinto titolo in sei anni, con ancora più della metà da conquistarne negli anni a venire. Difficile scegliere un’annata specifica, ma la continuità dei risultati dilazionata in tredici anni rende impossibile dire che questa non sia stata la più grande dinastia della storia della pallacanestro.

14. Cleveland Cavaliers 2016-17

No, non i Cavs della storica rimonta, bensì quelli dell’anno successivo, seppur rimasti a bocca asciutta. Il motivo è semplice, nonostante anche i numeri non siano estremamente favorevoli, i Cleveland Cavaliers del 2017 erano una squadra superiore a quella dell’anno prima. Una stagione regolare travagliata e ricca di problematiche difensive porta i Cavs ad un record di sole 51 vittorie (2.87 di SRS, addirittura un ritmo da 49 vittorie), e solo il settimo risultato della lega per net rating. La cosa che però faceva ben sperare i tifosi era il quantitativo di sconfitte arrivate tutte contemporaneamente, sintomo di come quando Cleveland non fosse sintonizzata potesse perdere con chiunque, ma una volta sprigionato il vero potenziale, vincere con chiunque. A gennaio Cleveland perse 8 gare delle 15 disputate, e dopo la pausa per l’All Star Game la situazione andò peggiorando ulteriormente (solo 12 vittorie in 27 partite). Però la regular season va sempre presa come un indicatore meno importante del successo ai Playoffs, ed i Cavs lì, appena iniziata la vera competizione, hanno massacrato ogni avversario nella loro Conference. Nonostante le arcinote lacune difensive, hanno sfoderato un attacco persino superiore a quello degli invincibili Warriors (120.3 di ortg), arrivando in finale con un record di 12-1, culminando con un 4-1 contro i Boston Celtics primi ad Est ed un net rating in quella serie di +21.4!!!. In finale, Cleveland perse 4-1 contro Golden State in una finale molto più tirata di quanto il risultato non dica, sfoderando anche la probabile miglior prestazione della storia delle Finals NBA in gara 4, segnando 137 punti con il 68% di true shooting e 24 triple mandate a bersaglio, record ogni epoca in una finale. Forse sarebbe stato più corretto inserire i Cavs campioni in questa classifica, ma la netta sensazione è che il livello mostrato in questi Playoffs sarebbe stato sufficiente per battere i Warriors dell’anno prima in molto meno di 7 gare.

13. Houston Rockets 2017-18

Nel 2018 i Rockets formarono una squadra costruita con l’unica caratteristica essenziale di battere i Golden State Warriors. I principi ferrei di Darryl Morey portarono Houston a firmare in estate Chris Paul, che avrebbe praticamente mantenuto invariato l’assetto dei Rockets quando elio-Harden non fosse stato in campo. La squadra fu circondata di 3&D e di una grande presenza nel pitturato come Clint Capela, capace di cambiare in difesa e di giocare il pick and roll come pochissimi lunghi nella lega. Due maestri del pick and roll e dell’inside-outside game come Harden e Paul giocarono seguendo lo stesso pattern per tutta la regular season, e raccogliendo i risultati che Morey e D’Antoni si aspettavano. I Rockets chiusero con il miglior record della lega, 65-17, un SRS di 8.21 (ritmo da 63 vittorie), un net rating di +8.7, il miglior attacco della lega (114.7 di ortg, +6.1), e soprattutto un upgrade notevolissimo in difesa. L’attacco infatti era già eccellente l’anno precedente (114.7, il medesimo), ma in difesa Houston faceva fatica, ed i MEME sulla difesa del Barba si sprecavano. Nel 2018 la difesa dei Rockets, con un Harden con meno carico offensivo ed un play difensivamente eccellente come CP3 passò dall’essere la 18^ alla 6^ migliore della lega. E soprattutto, resse negli incontri stagionali contro Golden State, facendo intuire che per matchup, Houston se la sarebbe potuta giocare fino in fondo. Harden fu premiato MVP della stagione regolare, e dopo aver battuto in 5 gare i Twolves di Jimmy Butler e gli Utah Jazz del rookie Donovan Mitchell arrivò il test tanto atteso: i Golden State Warriors. Houston giocò forte per davvero, tanto da andare in vantaggio per 3-2, ma un infortunio per Chris Paul sul finire di gara 5 aprì ai Warriors una speranza di rimonta. E gli stessi principi di Moreyball che furono delizia dei Rockets, li misero in croce in gara 6 e 7, che giocarono molto al di sotto delle loro possibilità. Non potremo mai sapere se con Paul i Rockets avrebbero portato a casa la serie, ma le probabilità erano elevate, e di lì sarebbe rimasto solo da battere una Cleveland contro la quale partivano ampiamente da favoriti.

12. Boston Celtics 2007-08

Il primo superteam della storia moderna: i Boston Celtics di Allen, Pierce e Garnett. La prima stagione di questo esperimento si rivelò pienamente riuscita. 66 vittorie in stagione, 9.3 di SRS (ritmo da 65 vittorie), un margine di scarto medio di 10.26 punti, un mostruoso +11.2 di net rating ed una delle migliori difese di tutti i tempi (-8.6 rdrtg), guidata dal Difensore dell’anno Kevin Garnett. Ai playoffs però i Celtics fecero un po’ più fatica del previsto, ed infatti una posizione che poteva essere abbondantemente più elevata è figlia di una problematica: l’incapacità di vincere le partite combattute. Nonostante i Celtics infatti abbiano perso 10 gare su 26 infatti, il loro net rating resta comunque molto positivo (+6.1). Nel primo turno contro Atlanta, Boston si spinse fino a gara 7, con uno scarto medio di 25 punti nelle 4 gare vinte e le tre perse tutte in singola cifra di svantaggio. Il copione, esclusi i Cavs, con i quali il confronto fu più equilibrato (per chi non l’avesse fatto, guardate gara 7), si ripeté anche con Pistons e Lakers, e la gara conclusiva con cui i Celtics sigillarono la loro vittoria fu un massacrante 131-92. Questo trend fu presente anche in stagione regolare, ed i Boston Celtics del 2008 sono a tutti gli effetti la peggior squadra della storia nel clutch time (5 punti di scarto o meno negli ultimi 5 minuti). In stagione la loro efficienza realizzativa nel clutch si abbassò di 0.16 punti per tiro, Garnett segnò solo 0.82 punti per tiro tentato, e Pierce un orrido 0.54.  Come detto ai Playoffs la situazione peggiorò: 22/70 nel clutch time (32%) e 2/18 da 3 ( Ray Allen segnò 0.66 punti per tiro, Pierce un imbaarazzante 0.14). Nelle gare decise da 5 o meno punti i Celtics persero 13 gare su 27 tra stagione regolare e Playoffs. Come mai? Sicuramente avere coach Doc Rivers in panchina non ha aiutato. Questo in un ipotetico scontro contro i colossi che seguiranno potrebbe non aiutare, poiché Boston non può di certo vincere ogni gara di 20 punti, perciò non possiamo spingerci oltre il 12° posto.

11. Miami Heat 2012-13

Il 2012-13 è strato l’anno sportivo di grazia per LeBron James, che ha vinto letteralmente tutto il vincibile tranne il DPOY, riguardo il quale, ancora oggi ogni tanto sentiamo lui stesso dolersi. Gli Heat del 2013 però non sono LeBron, Wade e Bosh; sono una squadra complessissima e tutt’altro che riducibile alla somma dei tre elementi. La definitiva esplosione di questa squadra, autrice di 66 vittorie in stagione e di una striscia di 27 vittorie consecutive, è stata figlia di un cambiamento tattico graduale, nato nel 2012 e perfezionato nel 2013. Wade e James smisero di spartirsi equamente i possessi, e con un Wade fortemente limitato dal mal di schiena e lontano parente del giocatore visto due anni prima, gli Heat presero il volo. Come mai? Wade e James sono tutto fuorché il miglior duo di sempre come spesso si suol dire. Sono stati due giocatori sovraumani estremamente simili, e quindi una volta appaiati, non complementari, ma al contrario che invadevano l’uno gli spazi dell’altro. La presa di coscienza di Wade del suo calo, il lasciare più possessi a James, ed al contempo un LeBron più sfruttato come terminale offensivo anche senza palla, quando i possessi li gestiva l’amico fraterno, hanno portato Miami ad un +6.4 di Relative ortg (secondo miglior attacco della lega, due punti meglio dell’anno precedente). Ai playoffs, l’importanza di Ray Allen e Mario Chalmers per spaziare un campo fin troppo chiuso da Wade e James più l’utilizzo di Bosh da stretch-5 (a tutti gli effetti impiegato come un role player, anche se di livello clamoroso) hanno permesso a Miami di battere anche l’ostica difesa dei Pacers di Paul George e della sequoia Roy Hibbert, che finchè circondato da buoni difensori perimetrali, era in grado da solo di non far segnare nei pressi del ferro. Lo stesso discorso può essere traslato contro i San Antonio Spurs di Tim Duncan, ma lì fondamentale fu anche la svolta nel tiro da fuori che lo stesso Bron ebbe da metà serie in poi. I nomi farebbero pensare ad un superteam, le partite a tutt’altro, ovvero ad un giocatore immensamente superiore al resto del mondo, circondato da una ex superstar al crepuscolo più altri giocatori funzionali a riparare al pessimo fit tra i due. Questo rende gli Heat indubbiamente una super squadra, ma come detto, tatticamente rivedibile.

10. Philadelphia 76Ers 1982-83

 

Sembrerà strano da dire per una squadra di Julius Erving, ma davvero non so se i Sixers del 1983 dopo l’acquisto dell’MVP in carica Moses Malone fossero più forti o più brutti. Phila, allenata da un loro leggendario ex giocatore, Billy Cunningham, aveva raggiunto le finali NBA già nel 1982, ed anche nel 1980, perdendo sempre contro gli Showtime Lakers. L’acquisizione di un MVP per una squadra che aveva appena perso le Finals vi ricorda qualcosa? Già anche a noi. E l’esito non è stato troppo differente. In stagione o SIxers hanno dominato con un record di 65-17, (addirittura 43-7 prima della pausa All-Star), un SRS di 7.53 (ritmo da 61 vittorie), e sia attacco che difesa tra i primi 5 della lega. Dopo l’All Star Weekend i ritmi si sono decisamente rilassati, ma appena iniziato i Playoffs i Sixers hanno ripreso ad essere la macchina da guerra della prima parte di stagione. L’arma in più era infatti uno dei più grandi e meno ortodossi rimbalzisti della storia NBA, parcheggiato sotto canestro a racimolare le briciole di ogni attacco non perfettamente riuscito da parte di Philadelphia. Addirittura voci autorevoli di contemporanei affermano che a volte sbagliasse intenzionalmente il tiro per riprendere il rimbalzo in posizione più comoda. Ed ogni possesso che finiva tra le mani di Moses terminava o con un canestro dopo innumerevoli rimbalzi o con un viaggio in lunetta, non c’era altro modo. Così facendo, il miglior rimbalzista offensivo della storia guidò i 76Ers a dei Playoffs estremamente agevoli, battendo ogni avversario con facilità e concludendo i Playoffs con 15 vittorie ed una sola sconfitta, arrivata contro i Bucks già sopra 3-0, dunque con la serie non a rischio. L’unico difetto di questi Sixers sarebbe potuto essere proprio l’esposizione ad un contropiede data dai rimbalzi lunghi, e chi più adatto a punire in contropiede dei Lakers? In finale le squadre si reincontrarono e Phila pur di ovviare a questo problema non tirò mai da dietro l’arco. In stagione furono penultimi per triple tentate a partita, meno di una e mezza. Ai Playoffs questo dato scese ancora a soli 10 tentativi dietro l’arco in tutta la postseason, la maggior parte tiri della disperazione allo scadere. Convertiti? Solo uno. Così facendo Malone dominò il suo spicchio di campo contro i Lakers prendendo più rimbalzi in attacco che qualsiasi altro giocatore anche in difesa (!), persino più dei 218 cm di Kareem Abdul Jabbar.

Il dominio resta, ed il valore della rosa anche di più, nella storia del basket. Certo, un sistema di gioco più antico della propria epoca, ed anche se vincente, senza prosecutori di successo, e senza capacità di ripetersi, non può che lasciare questa squadra nella parte bassa della top 10.

9. San Antonio Spurs 2013-14

La squadra rimasta più nel cuore di ogni appassionato del basket moderno. I beautiful game Spurs. Dopo un insuccesso nelle Finals del 2013, perse per il rotto della cuffia contro i Miami Heat, gli Spurs furono costretti a rivedere le proprie gerarchie, minimizzando le responsabilità di un ormai anziano Tim Duncan ad ancora difensiva e tentando di far emergere come stella del futuro un giovane Kawhi Leonard. Il principio che guidò la squadra di Popovich fu quello del from good to great, ovvero aumentare il vantaggio generato in ogni microesecuzione, in modo da ottenere, alla fine dell’azione, il miglior tiro possibile. Così facendo gli Spurs ottennero la seconda miglior efficienza realizzativa della lega dopo i Miami Heat, il miglior record in NBA (62-20), il miglior SRS (8.00, un ritmo da 63 vittorie), il maggior margine di vittoria (7.72) e net rating (+8.1). Ai Playoffs, dopo essersi spinti fino a gara 7 nel primo turno contro Dallas, il gioco di San Antonio spiccò il volo, battendo i Blazers in 5 gare, i Thunder dell’MVP, Kevin Durant in 6 e per finire i campioni in carica, i Miami Heat di LeBron James in 5 gare, con un net rating di +16 contro la franchigia della Florida ed in generale di +10 in tutti i Playoffs (il secondo i Clippers a solo +2). La totale assenza di gerarchie offensive rese San Antonio una squadra in cui ognuno si responsabilizzava a seconda della giornata, dell’azione, del momento, portando anche role players a produrre prestazioni talvolta stellari. Forse ciò che ci impedisce di far scalare altre due o tre posizioni a questi Spurs è proprio questo: sono la squadra più forte di sempre senza superstars, ma per risultati ottenuti, sistema di gioco, epigoni ed imitatori, ed anche a livello statistico, reggono tranquillamente la conversazione con le prossime tre posizioni che seguiranno.

8. Philadelphia 76Ers 1966-1967

“(Jack Ramsay e Alex Hannum) sono due delle più fini menti, incustodite o meno, del basket. Ci sono dubbi che qualsiasi franchigia abbia mai migliorato il proprio management in maniera spettacolare quanto quella dei 76ers quest’anno. La squadra era già eccellente… Philly ottiene nuovamente Larry Costello, e i 76ers sono più giovani di Boston e hanno un allenatore a tempo pieno.”

Sports Illustrated, estate 1966

Dopo 57 anni possiamo sottoscrivere ogni singola parola.

Alex Hannum era già stato coach di Wilt Chamberlain ai San Francisco Warriors, ed era stato l’unico capace di ridurne l’impiego eccessivo poiché aveva capito che a nessuna squadra con aspirazioni vincenti servisse che un solo giocatore segnasse 50 punti di media. Ai 76Ers Hannum impone a Wilt di non giocare più tutti i minuti senza mai uscire, ma assegna a Luke Jackson almeno 10 minuti a gara da centro. Ed ogni 10 minuti di ritardo per Wilt costavano 10$ di multa. Ah e niente più voli privati. La superstar della squadra non sarebbe più stata trattata coi guanti di velluto, ma con una disciplina ferrea. I tentativi di Wilt dal campo diminuirono da 25 a 14, i suoi punti da 33 a 24, ma guiderà la lega per percentuale dal campo ed i suoi assist aumentarono da 5 fino a quasi 8, gli assist di squadra aumentarono del 10.4% rispetto all’anno precedente e soprattutto le vittorie passarono da 55 a ben 68, ai tempi il miglior record della storia. I Sixers arrivarono ai Playoffs con il miglior attacco della lega (+5.4 rortg), batterono 4-1 i Royals di Oscar Robertson e Jerry Lucas, i Boston Celtics reduci da 8 titoli consecutivi (anche se si dice con un Bill Russell non al top della forma), ed in finale i Golden State Warriors di Rick Barry e Nate Thurmond. I Sixers terranno un net rating di +7.4 nei Playoffs, tre giocatori sopra i 20 di media (Hal Greer, Chet Walker e lo stesso Wilt), cosa che con il vecchio Chamberlain sarebbe stata impensabile, e solleveranno il titolo NBA. Questa è la miglior versione di una squadra che tenterà di ripetersi l’anno successivo, ma senza successo a causa del ritorno dei Boston Celtics a pieno regime ed a causa di un Wilt questa volta intestardito all’opposto nel vincere la classifica degli assist. Questa squadra, all’opposto di San Antonio, era costellata di superstar, oltre che come detto ben allenata, e potrebbe scalare un paio di posizioni, ma sia per il periodo storico, sia per una supremazia che per quanto notevole si rivela inferiore rispetto a tutte le squadre che seguiranno, si posiziona ottava in questa classifica.

7. Boston Celtics 1985-86

Non poche, specie in tempi recenti, sono state le crociate di alcune testate giornalistiche per sostenere che i Celtics del 1986 siano stati la squadra più forte di tutti i tempi. Per i criteri che questa classifica ha deciso di operare, questa squadra sebbene possa spingersi un paio di posizioni più in alto non arriva comunque ad insidiare le primissime della classe. È però da considerarsi essenzialmente un sesto ex-aequo con la squadra che succederà, preferita in necessità di ranking per motivi che esporremo in seguito. I Celtics aggiunsero al loro roster, già di grande spessore e reduce da due finali consecutive contro i Lakers (l’ultima persa), un veteranissimo comunque capace di offrire un grande impatto sia come playmaking che come apporto difensivo, ovvero Bill Walton, campione nel 1977 con i Trail Blazers. Insieme all’ancora Robert Parish, Dennis Johnson, le lunghe braccia di Kevin McHale e gli istinti di Larry Bird, Walton aiutò i Celtics a migliorare la propria difesa fino a scalare la vetta della classifica in NBA, passando dalla quinta migliore nel 1985 (-1.6 relative drtg) alla migliore nel 1986 (-4.6). Anche offensivamente Boston si dimostrò capace con il terzo miglior attacco dopo quello dei Mavs e dei Lakers, attacco che sarebbe migliorato ancora costantemente nei due anni successivi, raggiungendo nel 1988 il miglior risultato della storia relativamente alla lega fino ai Golden State Warriors del 2016 (+7.4). La difesa di quei Celtics fu però mediocre, per non dire molto scarsa, ed il loro attacco stellare non resse i ritmi da Playoffs. Al contrario nel 1986 i già eccellenti Celtics migliorarono di molto in entrambe le categorie iniziate le partite che contavano. Dopo aver vinto 67 partite (in casa uno spaventoso record di 40-1), con un SRS di 9.06 (ritmo da 65 vittorie), un Net Rating di +9.2 ed il miglior record indiscusso della lega, Bird fu premiato con il suo terzo MVP consecutivo, i Celtics sweeparono i Chicago Bulls di Michael Jordan nonostante la celebre gara 2 da 63 punti, batterono 4-1 gli Atlanta Hawks di Dominique Wilkins e conclusero un altro sweep ai danni della seconda potenza ad Est nonché seconda difesa della lega, i Milwaukee Bucks di Sydney Moncrief, battendoli con uno scarto medio di 15 punti e segnando loro 118 punti di media (in stagione i Bucks ne avevano subiti mediamente poco più di 105). La finale? Non contro gli Showtime Lakers bensì contro gli Houston Rockets delle Twin Towers: Hakeem Olajuwon e Ralph Sampson. La stazza dei Rockets mise più in difficoltà i Celtics di qualunque altra squadra, ma furono costretti a capitolare in 6 gare. I Celtics chiusero i Playoffs 1986 da campioni NBA con 15 vittorie e sole 3 sconfitte ed uno scarto medio sulle avversarie di 10.4 punti ogni 100 possessi.

6. Los Angeles Lakers 1986-87

Statisticamente identici ai Celtics dell’anno precedente, come detto sarebbe dovuto essere un ex-aequo, ma ciò che fa pendere l’ago della bilancia leggerissimamente a favore dei Lakers è che in finale hanno sconfitto proprio i Celtics, seppur come detto difensivamente peggiorati, mentre Boston non ha mai incontrato nei Playoffs del 1986 i Lakers, che però, pur essendo una grande squadra erano radicalmente diversi dalla corazzata dell’anno successivo. Dopo un’esplicita dichiarazione di coach Pat Riley, il gioco dei Lakers si sarebbe focalizzato sempre meno su Kareem Abdul-Jabbar e sempre più su Magic Johnson, che si sarebbe dovuto prendere più responsabilità anche come scorer. Il compiuto fu recepito alla perfezione da Magic che nel 1987 completò il suo arsenale offensivo aggiungendo anche un gioco in pick and roll e vinse il suo primo MVP portando a termine quella che verosimilmente è la sua miglior stagione in carriera, nonché una delle più grandi stagioni offensive di sempre. Magic guidò i Lakers a 65 vittorie con un SRS di 8.31 (ritmo da 63 vinte), un Net Rating di +9.1 ed il miglior attacco della storia fino ad allora (+7.3), come detto superato solo un anno dopo dai Celtics. I Lakers però aumentarono ancora il ritmo dopo la pausa All Star vincendo 30 partite su 35 e dominando tutta la postseason. Sweep ai Nuggets, 4-1 ai Warriors, sweep ai Supersonics. Poi per concludere un 4-2 rifilato agli arcirivali Celtics. L’attacco dei Lakers nei Playoffs toccò vette inesplorate fino ad allora (119.9 di ortg elevando il già mostruoso 115.6 della regular season) e vinsero tutte le gare con uno scarto medio di +11.3 punti per 100 possessi. Magic fu premiato chiaramente come MVP delle finali. Come detto, questa posizione e la precedente sono intercambiabili, e contro i Lakers si potrebbe argomentare che la competizione affrontata nella Western Conference sia stata davvero bassa rispetto a quella dei Celtics, arrivati anche nel 1987 stremati in finale dopo aver battuto in 7 gare i Bucks ed i Bad Boys Pistons (ribaltando clamorosamente una serie già persa con la famosa “steal by Bird”, ed al primo turno ancora una volta i Bulls di MJ. Il repeat dei Lakers nel 1988 ci fa pensare però che anche con l’età che avanzava questi ultimi siano stati capaci di “invecchiare meglio”.

5. Los Angeles Lakers 2000-01

È stato difficile trovare una giusta collocazione per questa squadra, così come preferirla ai Lakers dell’anno precedente, ben più costanti nel corso della stagione. Nel 2000 infatti abbiamo visto il miglior Shaquille O’Neal di sempre, dei Lakers primi ad Ovest con un record di 65 vittorie, un net rating di +9.1 e la miglior difesa della storia della franchigia (-5.9 relative drtg). Nei Playoffs però nonostante la vittoria c’èe stato più di qualche momento di difficoltà, uno su tutti contro i Portland Trail Blazers. La difesa dei Lakers concesse in media 107.5 punti per 100 possessi contro i soli 98 della stagione regolare, a causa del continuo portare Shaq lontano da canestro grazie alla pericolosità da fuori di Sabonis e Sheed. Anche nel 2002 con Chris Webber e Vlade Divac i Kings tentarono quasi con successo la stessa tattica, perdendo come detto ad inizio articolo, solo a gara 7. Nel 2001 i Lakers trovarono sia Portland che Sacramrento ed il risultato fu di due sweep in una run da Playoffs clamorosa che avrebbe visto mandati a casa con un cappotto anche i San Antonio Spurs, prima testa di serie, ed in 5 gare i 76Ers, solo perché una gara 1 rimasta nella storia del basket di Allen Iverson impedì ai Lakers il totale percorso netto. In stagione regolare però i Lakers faticarono, non riuscendo ad andare oltre le 56 vittorie, un SRS di 3.74 (addirittura ritmo da 52 vittorie), un net rating di +3.6 (sette squadre hanno fatto meglio) e solo la 21^ difesa della lega, molto peggiorata rispetto all’anno precedente. La spiegazione è dovuta a problemi sia di forma fisica che di alchimia di squadra. Dopo il titolo del 2000 Shaq sembrava stanco di giocare e Phil Jakcson disse di non pensare al basket fino a settembre e di godersi la vittoria. Fu preso alla lettera, anzi forse esagerando anche un po’. O’Neal non si presenterà ad un allenamento fino al…28 settembre, pochi giorni prima dell’inizio della preseason. Kobe invece, non smetterà di allenarsi per tutta l’estate, cercando di alzare il proprio livello di gioco e di essere riconosciuto come il giocatore più forte di tutti. L’equilibrio della passata stagione era ormai andato perduto, e Shaq fu il primo ad accorgersene. Dopo 60 partite però, due avvenimenti contribuirono a ristabilire ordine: il rientro di Derek Fisher e incredibilmente l’infortunio di Kobe Bryant. Chi mai avrebbe pensato che se una stella come Kobe si fosse fatto male la squadra sarebbe migliorata? Al suo rientro, Kobe provò ad essere più altruista nei confronti della squadra, mettendo da parte le manie di inizio stagione, e con Fisher disponibile nelle ultime 25 gare, i Lakers chiusero la stagione con 20 vittorie. Ai Playoffs alzarono ulteriormente l’asticella con la miglior difesa ed il miglior attacco della postseason. I Lakers spazzarono via tutti, ed i miglioramenti reali di Bryant, questa volta si fecero notare a servizio della squadra. Con un Net Rating di +13.7 (il più alto della storia dei Playoffs, imparagonabile sia al +2.6 del titolo precedente che al +4.1 del successivo), i Lakers chiusero la postseason con un record di 15 vittorie e solo una sconfitta, non perdendo neanche una singola gara prima della finale. Come detto, la collocazione è stata difficile ed a seconda del peso che si da ai singoli aspetti, questi Lakers potevano scivolare più in basso di due o tre posizioni, ma anche salire di altrettanto. La parte bassa della top 5 ci sembra un buon compromesso.

4. Milwaukee Bucks 1970-71

Oscar Robertson, Mr Triple Double, nonché verosimilmente il miglior giocatore offensivo della passata generazione, nell’estate del 1970 si accasò con i Milwaukee Bucks, raggiungendo Kareem Abdul-Jabbar e formando un duo che avrebbe dominato la lega quell’anno. I Bucks fecero registrare il miglior SRS di tutti i tempi, 11.91 (un ritmo da 70 vittorie), un Net Rating di +10.8, il miglior attacco (+6.7 rortg) e la miglior difesa della lega (-4.1 rdrtg), perdendo solo due gare in casa su 36 disputate. Kareem fu premiato come MVP della stagione regolare e non sarebbe stato l’unico premio sollevato in quella stagione. I Bucks passeggiarono per tutti i Playoffs, vincendo 4-1 contro i San Francisco Warrriors, 4-1 contro i Lakers (privi però di West e Baylor) e 4-0 in finale contro i Washington Bullets. Il gancio cielo di Jabbar fu inarrestabile per un giocatore come Wes Unseld, che per quanto dotato difensivamente, concedeva 20cm al lungo della franchigia del Wisconsin. Ai Playoffs i Bucks fecero registrare il terzo miglior net rating di sempre (+13.4). I Bucks con il lungo in post basso come Kareem, un play come Big O che essenzialmente aveva inventato un modo di punire le difese col pick and roll e sapeva coinvolgere i lunghi oltre che segnare, ed un ala come Bob Dandridge formò il modello di pallacanestro offensiva ideale da cui attingere per tutti gli anni ’70. Questa squadra sarebbe potuta salire di un’altra posizione, e come con i Celtics del 1986 ed i Lakers del 1987 consideriamo i Bucks del 1971 e la squadra che seguirà un terzo posto ex-aequo. Il motivo però per cui abbiamo deciso di posizionarli un gradino più in basso verrà immediatamente spiegato.

3. Los Angeles Lakers 1971-72

Nell’estate 1968 i Los Angeles Lakers firmarono Wilt Chamberlain. Era nato il primo superteam della storia NBA. Il flop però fu clamoroso, non tanto per la sconfitta in gara 7 contro i soliti attempati Celtics, quanto per il reale peggioramento di cui i Lakers soffrirono dall’arrivo di Wilt. Los Angeles, accantonata definitivamente la supremazia offensiva di Elgin Baylor in favore di Jerry West, giocava uno splendido attacco Princeton, coordinato da coach Butch Van Breda Kolff. Il movimento perpetuo dei Lakers portò la franchigia di Los Angeles al miglior attacco della lega. L’arrivo di Wilt che si parcheggiava in post in attesa di ricevere e bloccava il gioco della squadra mal si adattava ai principi di Princeton di coach Kolff che fu vergognosamente esonerato a fine stagione. I Lakers tentarono di farsi guidare da Joe Mullaney, ma arrivarono due insuccessi consecutivi contro i Knicks nel 1970 e contro i Bucks nel 1971. La svolta arrivò con Billy Sharman, che come Hannum qualche anno prima, capì che per portare i Lakers al successo doveva limitare il superego di Wilt. Nel 1972 il centro dei Lakers tentò solo 9.3 tiri a partita, e si concentrò unicamente sul suo immenso impatto difensivo. Le chiavi dell’attacco furono riconsegnate a West ed i Lakers dominarono la Regular Season inanellando anche una striscia di 33 vittorie consecutive. Il record reciterà 69-13, fino ad allora il più alto di sempre, superando proprio quei 76ERs di Wilt e Hannum, poi campioni NBA. Ed il risultato qui sarà il medesimo. (Curioso che due tra le squadre più dominanti di sempre, nonché le uniche due in cui Wilt ha vinto, siano entrambe caratterizzate da un suo massiccio ridimensionamento offensivo?). i Lakers con il miglior net rating della lega (+10.5), il miglior attacco (+5.2 relative ortg) e la miglior difesa a pari merito coi Bucks (-5.3 relative drtg) chiusero la stagione regolare con un SRS di +11.65 (ritmo da 69 vittorie). Ai Playoffs vinsero 4-0 contro i Bulls, 4-2 contro i campioni in carica, i Bucks, che avevano interrotto la loro striscia di vittorie, ed in finale contro i Knicks 4-1, completando il loro giro di rivincite. Wilt fu premiato MVP delle Finali, dimostrando di come potesse essere impattante anche senza cinquantelli. I Lakers del 1972 sono stati preferiti ai Bucks poiché i secondi nel 1972 erano essenzialmente la stessa squadra dell’anno precedente, e negli scontri diretti ne escono sconfitti. Negli scontri ai Playoffs contro i Bucks, nonostante “ai punti” risultno inferiori, avendo vinto tre gare su quattro con uno scarto di quattro o meno punti, ed avendo perso di 21 e 26 nelle due uniche sconfitte, la serie è comunque andata ai Lakers per 4-2, e nonostante i Bucks abbiano interrotto anche la striscia di 33 vittorie consecutive, nei restanti 4 incontri stagionali sono arrivate 4 vittorie da parte della franchigia Losangelina.

2. Chicago Bulls 1995-96

I Bulls del 1996 sono riusciti a prevalere su quelli dell’anno successivo e su quelli del 1992 come miglior versione dei Chicago Bulls di Michael Jordan. Statisticamente infatti risultano superiori ad entrambe le versioni in ogni aspetto nelle quali le due scartate comunque sono eccellenti, e si sarebbero ritagliate un posto in classifica non troppo lontano da questo. Nel 1996 i Bulls vinsero 72 partite in stagione regolare, con un SRS di 11.8 (ritmo da 70 vittorie), un Net Rating di +13.4 (miglior risultato di sempre in stagione regolare), ed attacchi e difese letteralmente da far girare la testa. I Bulls infatti fecero registrare un relative offensive rating di +7.6 ed un relative defensive rating di -5.8, entrambi ampiamente primi in NBA. Ai Playoffs il risultato non cambiò e Chicago passeggiò con 11 vittorie ed una sola sconfitta fino alle Finals, sweepando in finale di Conference gli Orlando Magic di Penny e Shaq. In Finale dopo essere andati sopra 3-0, il cambio difensivo di Payton su Jordan inceppò leggermente la macchina perfetta, portando due vittorie consecutive ai Sonics, salvo poi capitolare in gara 6 con dei Bulls che seppero come cavarsela anche nella peggior serie di finale giocata da Michael Jordan. Non c’è troppissimo da dire sui Bulls che non sia stato già detto, così come vederli salire fino al primo posto sarebbe tutt’altro che un’eresia, poiché hanno tutte le credenziali per essere la miglior squadra di tutti i tempi. Il secondo posto è essenzialmente figlio di due motivazioni: il primo è che Chicago costituzionalmente (e Jordan più di tutti) ha beneficiato di una regola che David Stern ha attuato dal 1995 al 1997, anni in cui non a caso i Bulls sono stati ancor più dominanti del solito, ovvero l’aver accorciato la linea dei 3 punti da 7 metri e 25 cm a 6 m e 75 cm. Il gioco di Jordan in particolare, maestro del mid range ma con da sempre problemi da 3 punti, probabilmente dovuti alla sua meccanica di tiro che ne limitava il range, è stato notevolmente semplificato da questa misura, poiché i difensori tentavano più disperatamente di contestare un tiro che sarebbe valso un punto in più, aprendo più spazi liberi in area. La percentuale da 3 di MJ salì dal 30% al 40% in quegli anni nonostante un aumento di volume, ed è inutile dire quanti punti in più conferisca un cambiamento così ampio. Il secondo motivo è anch’esso legato al periodo storico, ma è meno di natura tecnica e più di natura “filosofica”. Nel 1996 le gare anche in serie di 7 partite di Playoffs venivano preparate e poi giocate seguendo un copione fisso, che era essenzialmente quello di rispettare il proprio gameplan e di giocare con un read and react. Non erano presenti maniacali aggiustamenti e scouting reports di pagine e pagine, e quindi una banale mossa come il mettere in marcatura Payton su Jordan ha rischiato di inceppare una macchina perfetta come quella dei Bulls, che dopo gara 3 non hanno più toccato quota 90 punti, ed ha fortemente limitato l’apporto offensivo di MJ, il miglior giocatore al mondo.

1. Golden State Warriors 2016-17

Al primo posto i Golden State Warriors la spuntano sui Bulls. Dopo una stagione da 73 vittorie e 9 sconfitte ed un titolo perso per il rotto della cuffia, il 4 luglio 2016 Golden State ha firmato Kevin Durant, rompendo letteralmente la competizione in NBA. I Warriors nel 2016 avevano fatto registrare il miglior attacco della storia relativamente alla media della lega (+8.1), ed aggiungere ad una macchina del genere un giocatore scalabile come Kevin Durant avrebbe portato quell’attacco a rinforzarsi ancora di più. Golden State concluse la stagione con 67 vittorie ed un SRS di 11.35 (ritmo da 69 vittorie), ma che nelle gare che Kevin Durant non aveva saltato per infortunio saliva addirittura ad un ritmo da 73! Con un Net Rating di +11.6, il miglior attacco della lega (+6.8 rortg) e la seconda miglior difesa (-4.8), i Warriors agguantarono il primo posto nella Conference. La celebre death lineup dei Warriors produsse un insensato Net Rating di +23.4, e difensivamente, con Draymond Green schierato da centro, soffocò gli avversari non avendo praticamente punti deboli. Green a fine anno fu premiato come Defensive Player of the Year. Ai Playoffs il “quintetto della morte” fu ancora più devastante, producendo un Net Rating di +27 e sfiorando numeri mai visti in quasi ogni voce statistica. Golden State con Durant a mezzo servizio asfaltò Portland e Utah nei primi due turni, e nel 2017 l’infortunio di un Kawhi Leonard in stato di grazia ci privò di una serie che forse sarebbe stata più comnbattuta. Purtroppo, privi della loro superstar anche gli Spurs vennero fatti fuori in 4 gare. Arrivati in finale con un record immacolato, i Warriors non si fermarono davanti ai Cavs campioni in carica, e solo dopo essersi accomodati sul 3-0, pronti a chiudere la serie, concessero una gara a Cleveland, che come scritto precedentemente sfoderò una delle prestazioni di efficienza offensiva più incredibili di sempre. I Warriors però archiviarono la pratica in gara 5. Stephen Curry chiuse la serie a 27 di media ed il 62% di true shooting, prendendo il 22.4% delle sue conclusioni da smarcato, a testimonianza del fatto che anche il miglior tiratore di sempre, in una squadra del genere, alle volte era considerato il male minore. Kevin Durant, l’MVP delle finali, chiuse la serie a 35 punti di media e con il 70% di true shooting, anche lui prendendo il 26.2% dei suoi tiri da smarcato. Le spaziature dei Warriors che giocavano 5 fuori, con continuo movimento senza palla, giocatori capaci di attaccare i closeouts, blocchi per liberare i tiratori ed un ritmo molto elevato per attaccare le difese non ancora schierate hanno segnato il basket che sarebbe venuto dopo, ed ancora oggi questo sembra il miglior tipo di attacco al quale ogni squadra possa aspirare. Al contempo, una difesa capace di cambiare su ogni matchup, capace al contempo di avere un’ancora come Green, dei difensori sull’uomo come Iguodala e Thompson e le braccia lunghissime di Durant in aiuto sono ancora oggi a distanza di 6 anni quanto di più moderno possa esistere, ed ancora oggi nonostante ci siano stati nuovi innesti della lega, questi sistemi non risultano sempre attuabili. Il 16-1 di Golden State è il miglior record della storia dei Playoffs NBA, ed il loro Net Rating di +13.5 si posiziona secondo dietro ai Lakers del 2001. Come detto, scegliere i Bulls non sarebbe stato eretico, e possiamo dire con abbastanza confidenza che per i Warriors è sicuramente impossibile scendere oltre la seconda posizione, ma il primo posto ci sembra decisamente più adeguato.

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